''NO!, NON TI VOLTARE!''
Un po’ per lo shock dell’incidente che ci ha portato via Michele Scarponi, un po’ perché il primo sole sulle strade ci ricorda che il Giro d’Italia si avvicina, mi sono ritrovato a pensare al ciclismo e mi è venuto spontaneo traslare il campionato straordinario dell’Atalanta sulle strade delle gare di biciclette.
Quelle gare che mio padre mi portava a vedere molti anni fa. Alzandoci la domenica mattina molto presto, ma con la sensazione che ne valesse veramente la pena. Perché la fatica degli atleti, dei ciclisti, che si arrampicano lungo i tornanti di una salita e il loro alzarsi da sella per aggredire la strada sono uno spettacolo sportivo che lascia sempre sensazioni forti.
Fatiche che avvicinano lo sport al cuore di ogni persona e che rendono all’uomo, al tifoso, all’appassionato il vero valore che sta intrinseco nell’attività sportiva.
E la nostra Atalanta mi sembra uno di questi ciclisti. Un giovane di belle speranze. Senza grandissime aspettative, ma tanta voglia di misurarsi nella gara più importante della stagione con gli altri atleti di pari livello e con i soliti campioni.
Arrembante e fresco, sulla linea di partenza, sapendo che difficilmente vincerà la gara, ma sicuro di essere lì, con i campioni, quantomeno a cercare gloria.
Ora siamo arrivati agli ultimi tornanti dell’ultima salita. Là in fondo il traguardo. Quel nastro rosso con scritto “arrivo” a segnalare che, proprio lì sotto, c’è la fettuccia di vernice bianca che decreta la fine delle fatiche.
L’Atalanta ha affrontato l’ultima ascesa con il ristretto gruppetto dei migliori, lasciando il peloton, come dicono alla Grand Boucle, ormai distanziato.
Mancano pochi chilometri, il vincitore ha qualche tornante di vantaggio sugli inseguitori e la nostra Dea è nel gruppetto di quelli che si giocano un posto fra i premiati.
Un risultato di per sé storico, quasi impensabile. Un premio tanto agognato, forse solo sognato. Un premio che vale già tutto da solo. Finisse così, il nostro atleta scoppierebbe di gioia. Avrebbe raggiunto un obiettivo nemmeno preventivato, una volta sui nastri di partenza.
Un obiettivo che vale molto più di una stagione. Soprattutto ora che la certezza è vicina, visto che due dei concorrenti più agguerriti sono rimasti sui pedali al tornante precedente.
In questi casi, ai giovani atleti non avvezzi alle grandi vittorie viene di voltarsi indietro. Per controllare la distanza da coloro che avrebbero potuto ridimensionargli il sogno. Viene voglia di correre su di loro, per difendere l’obiettivo ormai raggiunto.
Mio padre, a quegli atleti, urlava “No, non ti voltare!” Ed io facevo lo stesso, forse senza capirne il senso.
Ma bisogna ricordare al nostro atleta, alla nostra Atalanta, che la gara non è finita e che l’obiettivo può essere straordinario, più di quanto sembrerebbe quello che si sta stringendo fra le mani.
Voltarsi indietro, per chi non è avvezzo ai piani altissimi, è un difetto difficilissimo da correggere. E’ difficilissimo non pensare a chi sta dietro, per chi è abituato a stare dietro.
Voltarsi indietro è pericoloso. Si rischia di perdere il ritmo.
I campioni non si voltano mai indietro, a vedere dove sta il secondo. I campioni guardano solo avanti.
E allora, ai nostri ragazzi, che campioni ancora non sono, ricordiamo di non voltarsi indietro.
Saliamo tutti su quei tornanti, come si vede nelle tappe epiche dei grandi giri, come si vede lungo le grandi classiche.
Corriamo anche noi, lungo un tornante, come si vede sul Mortirolo, sul Gavia, sul Mont Ventoux, sul Galibier per spronare la nostra Dea ad alzarsi sui pedali e a guardare avanti.
Urliamole anche noi:
“No, non ti voltare.”
Rodrigo Dìaz