08/08/2022 | 12.35
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Non spegnete quel sorriso - by Rodrigo Diaz

Ci sono notti, d’estate, in cui non mi riesce di dormire.
Notti in cui la malinconia e l’assenza di vento s’incagliano nel tempo e la notte pare non trascorrere.
Facendo violenza a me stesso, la sera precedente, avevo letto alcuni commenti che arrivavano da Bergamo circa il calciomercato. Da lì la malinconia. E sì che odio il calciomercato.
Malinconia. Insonnia. Palomino.
Uscii che non era ancora iniziata l’alba.
“Cos’hai di buono oggi?”
“La miglior ventresca del Cantabrico”
Alle 4,30 Manu è già sveglio, per allestire il suo banco del pesce al Mercado de la Brexta, a San Sebastian.
Guidai con il finestrino abbassato. Entrava la frescura della notte che stava per finire.
Venne a prendermi al cancello riservato ai mercanti. Mi dà sempre un certo piacere entrare al mercato quando è ancora chiuso e vedere le facce della gente che brulica per allestire i banconi. I profumi sono quelli genuini e la vita mi sembra un po’ più vera e con un po’ più di senso.
Manu mi preparò una scatola di polistirolo con la ventresca e un po’ di mariscos e la riempì di ghiaccio.
Un’ora dopo ero alla cascina del Tio, che la mattina era appena nata.
Gli lasciai il prezioso malloppo e andai in città a prendere il pane e le verdure.
Calle Estafeta portava ancora i segni della festa di alcune settimane prima. I segni dell’encierro e della felicità della gente di qui.
Ma, fra una felicità ed un’altra, s’infilano i cunei della malinconia. E il silenzio in Calle Estafeta era uno di quei grimaldelli che fanno saltare i chiavistelli della malinconia.
E la malinconia aveva il ghigno di Palomino.
Tornai dal Tio.
Dentro la sua cascina il tempo è differente.
Io stavo sdraiato sulla sedia a dondolo in cucina e mi lasciamo ninnare da un’oscillazione lenta ed eterna. Il cane Ernesto stava sotto la panca, fuori dalla porta, aperta e con davanti solo una tenda leggera, che permetteva al soffio tenero della brezza pirenaica di entrare.
Guardavo el Tio preparare l’arroz con la ventresca e i mariscos.
Non parla el Tio, quando prepara l’arroz.
Zoccoli vecchi come il mondo, calzoncini corti e camicia mezze maniche, aperta fino quasi a metà. E sopra un grembiule da cucina. Sempre quello. Glielo regalai io ormai una decina d’anni fa.
Gli guardavo le gambe e le ginocchia martoriate dalle lunghe partite sui campi della Navarra.
Per me, il calcio ha due anime. Quella romantica e quella epica.
La prima è fatta dei colpi di Morfeo, dei gol di Doni, delle punizioni di Magrin, delle magie di Ilicic.
La seconda è quella delle entrate di Osti, delle strattonate di Bigliardi, delle scivolate di Demiral e delle battaglie di Palomino.
E mi entusiasma di più l’anima epica di quella romantica.
Per questo soffro per il Tucumano.
Guardo el Tio e vedo le gambe arcuate di Palomino e anche il suo sguardo.
Non posso non pensare a quel volto della pampa, con la mascella da duro e il sorriso tenero. Quell’incedere da gaucho e quella voce da bravo ragazzo.
E quel sorriso rischiamo di non vederlo più.
Le pale del ventilatore sul soffitto della cucina girano con un ritmo che cambia il tempo, perché il tempo dentro la cascina del Tio è differente da quello che scorre fuori.
Il profumo della ventresca è delizioso.
El Tio seguita a cucinare in silenzio.
Il cane Ernesto è venuto a farsi accarezzare.
La malinconia è venuta a trovarmi anche dentro la sedia a dondolo.
E non so chi pregare affinché non si spenga quel sorriso argentino.

Rodrigo Dìaz

By staff
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