Parla Donadoni
dal cartaceo odierno della Gazzetta.
C’ era un prato rasato quando sipoteva, porte adattate in qualche modo. Era il calcio degli anni Settanta negli oratori, ma Roberto Donadoni non è tipo da lasciarsi andare alla nostalgia.
«Era diverso tutto il mondo, era diversa la vita. Io adesso sto bene dove sto».
Partito dalla provincia bergamasca, da giocatore ha frequentato Stati Uniti e Arabia Saudita, non soltanto il Milan dei trionfi. Da allenatore ha lavorato in Nazionale perdendo ai rigori con la Spagna che poi avrebbe dominato il mondo. Dopo è arrivata una lunga trafila di squadre di provincia, magari anche prese in corsa come il Bologna che ancora allena, partendo in questa stagione dall’inizio, con programmi e idee.
«E’ una realtà in crescita, stiamo cercando la nostra dimensione». Si parla sempre di progetti nel calcio, ma non si sa se la parola abbia un peso.
«Non molto, se perdi tre partite il progetto non esiste. Progetto è una parola inflazionata, però con questa proprietà ha più senso. Sono nordamericani e hanno anche radici forti in Italia».
Joey Saputo che tipo è?
«Affabile, davvero una persona perbene. Rispetta i ruoli e questo per me è un dato fondamentale». Al Parma i ruoli sono saltati con un esonero in massa.
Se lo aspettava dopo la favola costruita da lei, dai suoi collaboratori,dalla squadra e da tutto l’ambiente?
«Onestamente sono perplesso,non credevo che potesse finire così, ma da fuori faccio fatica agiudicare».
Domenica il suo Bologna incontra la sua Atalanta. Non è la prima volta che capita, ma è strano incontrare un’Atalanta così in alto in classifica.
«E’ stimolante. Qualche mese fa sembrava che dovesse succedere la rivoluzione,invece Gasperini è rimasto giustamente al suo posto e la squadra adesso è in alto. Da bergamasco sono contento e da avversario sono curioso. L’Atalanta è partita più o meno alla pari con noi,sulla carta, e ora ha una classifica favolosa. Perciò voglio vedere che cosa succederà domenica».
Le pesa l’etichetta di allenatore da provincia? Anche Gasperini è considerato valido soltanto incerti ambienti e a differenza di Gasperini, che ha guidato brevemente l’Inter, lei non ha mai avuto la chance di allenare un grande club.
«Non è giusto etichettare le persone così. Se Gasperini avesse fallito all’Inter,alla Roma, alla Juventus capirei, ma così è assurdo. Ed è assurdo valutare me per le chance che non ho avuto».
Dicono che non abbia il fisico del ruolo: poco mediatico per le grandi squadre.
«Aria fritta».
Ma lei ride qualche volta?
«Certo che rido, che vita sarebbe senza ridere? Però rido quando è giusto e do confidenza soltanto dopo aver conosciuto bene le persone».
Si parla sempre di lei e del Milan, poi l’occasione non arriva mai.
«Allenare il Milan non è un obiettivo. Sarebbe una soddisfazione per me, ma non esiste soltanto quello. E comunque al momento l’obiettivo sarebbe più fuori che dentro l’Italia, fermo restando il fatto che il Bologna è la priorità. Ci sono passi importanti da fare, come la costruzione di un centro sportivo: è il segnale della serietà dei piani di Saputo, il segno di grandi ambizioni. Qui si sta portando avanti davvero un progetto, parola abusata nel calcio italiano».
E’ vero che ha rifiutato di andare all’estero per non mollare il suo staff?
«Sì e non ci vedo niente di strano. Un allenatore esiste anche in ragione delle persone che lavorano con lui. Il mio staff mi dà certezze, sicurezze. Mi completo con loro. Guadagnare soldi escludendo loro non mi piacerebbe, anche perché i soldi in quanto tali non sono una mia priorità. Non vorrei apparire antipatico, ma non ho bisogno di questo e posso scegliere».
Una condizione fortunata. Fortunato il Bologna ad avere Destro?
«Destro sta cominciando a capire tante cose,la sua autostima sta aumentando. A volte sembra ancora che non creda di poter raggiungere certi livelli, ma sta cambiando».
L’Atalanta è piena di giovani scelti anche dal c.t. Ventura per la Nazionale. Situazione invidiabile?
«Per me la Nazionale non è un rimpianto. Quando l’ho lasciata se non mi sbaglio era al secondo posto nelranking mondiale. Il resto sono chiacchiere».
Ventura sta chiamando tanti giovani.
«E’ una scelta intelligente, senza giovani da far crescere le squadre faticano. Si migliora facendo maturare i giovani, ma troppo spesso in Nazionale e altrove ci si scontra con la realtà e con gente che concepisce il calcio in maniera egoistica».
Lei ha preso spesso squadre in corsa. Il suo segreto per risollevarle?
«Il buonsenso, che è quello che applico anche a Bologna. E la voglia di crescere sempre. Ripeto, siamo ancora alla ricerca della nostra dimensione ma in questo momento non ci poniamo obiettivi particolari».
Donadoni, davvero le piace laprovincia?
«Ci sono nato e mi calo bene inquesta realtà. Anche se ai mieitempi era tutto diverso, si cresceva in strada e si stava a contatto con la gente. Eravamo meno tecnologici ma sapevamo comunicare. La mia generazione era migliore e combatteva di più»