Pep è un bravo ragazzo
C’era un forte profumo di caffè in quella casa.
Non è usuale avvertire una fragranza di caffè così intensa in una casa di Istanbul, anche se i profumi delle spezie che arrivavano dalla cucina non tradivano le aspettative bizantine che nutrivo per quella cena.
Ero di nuovo sulle rive del Bosforo per lavoro, nonostante avessi preferito essere a San Siro quella sera. O almeno alla cascina del Tio per vedere con lui la partita contro Pep.
“In fondo, è un bravo ragazzo, Pep”
Me lo disse una volta, el Tio, durante una di quelle nottate trascorse in cascina a parlare di tutto quello che era e che sarebbe potuto essere.
Già da diverso tempo me lo aveva chiesto. Deniz aveva insistito affinché cenassi da lei, una volta o l’altra.
Avevo sempre glissato. Vuoi per pudore, vuoi per la mia eterna gratitudine alla solitudine. Ma quella sera Bulent, suo marito, mi aveva convinto con le promesse di caffè espresso e di vedere assieme la partita.
L’ospitalità turca non va tradita. Difficilmente ha fini differenti, se non quello di una silenziosa gratitudine.
Per cosa mi dovesse essere grata quella donna splendida, dai lineamenti persiani e dalla bellezza mediorientale, non ne avevo idea. Tantomeno il marito, che avevo conosciuto da poco, ma con il quale avevo già instaurato un rapporto d’amicizia sincero.
I piccoli Aybars e Ada erano già a letto.
Aybars è un bambino esile, ma vispo. Ada è un tesoro ancora in fasce, con gli occhi e la bocca di sua madre. Ada significa isola. Il nome di sua madre, Deniz, significa mare. E’ stato Bulent a volerla chiamare Ada.
Per un uomo nato e vissuto sulle sponde del Bosforo, avere dei tesori del genere dev’essere una soddisfazione enorme. Il Mare sempre al suo fianco ed un Isola da crescere, oltre ad un piccolo ottomano come chiassoso complice.
Ci aveva imbandito la tavola con meze fatti con le sue mani, Deniz. E per seguire un kebab cucinato con cura da Bulent.
Io mi ero limitato a sdebitarmi con una cassa di Efes acquistata nel negozietto appena fuori l’albergo.
Dopo la cena, Bulent ed io, siamo andati nel salotto a vedere la partita. La splendida padrona di casa ci ha raggiunti poco prima dell’inizio del secondo tempo. Dopo aver sistemato la cucina ed aver dato un occhiata ai piccoli.
Ci ha raggiunti e con il suo stupendo sorriso la partita ha cambiato volto.
Io, incredulo, cominciavo a cullare un sogno. Bulent, molto più pragmatico, valutava che ce la si sarebbe potuta fare.
Deniz, rispettosa della nostra trans agonistica, ci aveva preparato due caffè espresso.
“Ho imparato da Gustavo. Il barista italiano che c’è al porto di Yenikapi”
Mi disse orgogliosa.
“Mi ha venduto anche una moca ed insegnato come usarla.”
“Da me, in Navarra, nessuno fa il caffè italiano come lo fai tu.”
Deniz sapeva che ero sincero.
Poco più di dieci minuti dal termine della partita.
Osservavo le rughe della fronte di Bulent. Accigliato ed attento a quanto stava accadendo.
Deniz se ne era appena andata a letto. Salutandomi con un bacio tenero sulla guancia e salutando il suo uomo con un bacio ancor più profondo sulle labbra.
Non capivo cosa stesse succedendo a San Siro.
Ad un passo dal sogno, un casino enorme ed il commento della televisione turca di certo non mi aiutava.
Allora cercavo disperatamente un appiglio negli occhi scuri, profondi, immersi dentro una palla d’avorio, di Bulent.
Al termine della partita, non volle che chiamassi un taxi.
Era già notte ad Istanbul.
E’ profumata la notte ad Istanbul. Ricca di fragranze orientali e un sottile soffio salmastro arrivava dal mare di Marmara.
Non mi portò subito in albergo.
Il Cafè Pierre Loti domina Haliç, il Corno d’Oro.
“In fondo, Pep è un bravo ragazzo.”
Mi disse Bulent.
La frase pronunciata leggera attraverso un tenero sorso di tè turco, mi riportò alla realtà di una serata magica.
“Ha avuto paura dell’Atalanta. La paura è propria delle persone normali. E Pep ha dimostrato di rispettare e di temere la vostra squadra. Ha reagito come chi sa che sta soccombendo. E’ un bravo ragazzo, perché si è comportato da persona normale di fronte ad una situazione che non poteva più gestire. Io ci ho visto rispetto, nel comportarsi come una persona qualsiasi di fronte a chi lo stava per sconfiggere.”
Il riflesso della luna ci insegnava i tratti sinuosi di quella lingua di mare. La brezza ci accarezzava e portava fin lassù i profumi di una fresca notte autunnale.
“Non credo ce la faremo a rimanere nelle coppe.”
Dissi a Bulent mentre scendevo dalla sua auto, di fronte all’albergo.
“Dopo questa sera, non è più un problema vostro. Comincia ad essere un problema degli altri.”
Rodrigo Dìaz