Potrei ma non voglio(no) by Ombra
È il 10 febbraio 2022. Jeremie Boga ne salta un paio e mette dentro il momentaneo vantaggio contro la Fiorentina in Coppa Italia. Di solito, durante le partite non disturbo né voglio essere disturbato. Se sono allo stadio respiro a pieni polmoni l’atmosfera del Gewiss. Se sono a casa, davanti alla tv o al computer, mi concentro unicamente sulle immagini dello schermo. Niente telefoni, cellulari, social o qualsiasi altra distrazione. Ma quello che ho appena visto merita un’eccezione.
Alzo la cornetta e chiamo papà. Di sicuro la sta guardando anche lui, a casa sua. Tempo due squilli e, riconoscendo il numero, esordisce: “Hai visto?”. Replica del sottoscritto, breve e lapidaria: “Quando questo entra in forma, vinciamo lo Scudetto”. Riattacco. Nella foga del momento, non ho bisogno di aggiungere altro. Mi è sufficiente quel lampo di genio, talento e magia che ho appena visto.
A distanza di mesi, l’infortunio nell’amichevole col Villa Valle ha suscitato una reazione strana. Tutti a fare spallucce, quasi non ce ne importasse nulla. Nella mia testa continuo a ripetermi: Ragazzi, quello è Boga. Quando era al Sassuolo era per moltissimi l’erede del Papu e adesso lo trattiamo come una ruota di scorta. Il campo ha parlato: prestazioni, a essere buoni, altalenanti. Un’oscillazione costante tra la frustrazione e l’incompiutezza. Eppure, dal carro di Jeremie faccio fatica a scendere.
Non riesco ancora a convincermi che un genio come Gasperini non riesca a inserire nel sistema un potenziale così detonante come il dribbling e l’elettricità di Boga. A tutti gli effetti, non esiste un altro come lui in rosa: Lookman, a detta di molti un suo doppione, è molto più verticale, diretto. Più devoto all’attacco della profondità, meno alla creazione di vantaggi dal saltare l’uomo. Gasp lo vede ogni giorno in allenamento, e dall’individualità di Jeremie non è riuscito a cogliere i frutti sperati.
“Ogni melone ha la sua stagione”, recita il detto, italianizzato. Ancora persuaso del talento cristallino di Boga, mi interrogo da dove vengano le mancanze di questo matrimonio che, sino ad oggi, non s’ha da fare. Estrema rigidità dello staff tecnico? Esigua disposizione del giocatore ad adeguarsi a compiti e posizioni diversi da quelli nei quali aveva brillato in Inghilterra e in Emilia? Che sia a Roma, dopo la sosta o tra qualche giornata, la speranza è l’ultima a morire. Arriverà il suo tempo. Magari non porterà lo Scudetto, ma sarebbe sufficiente riguadagnare parte del credito sprecato nei primi mesi atalantini.
È brutto parlare di colpe o di fallimento. Ma che Jeremie rimanga un sogno di una sera di fine inverno sarebbe davvero un peccato.
Ombra
Alzo la cornetta e chiamo papà. Di sicuro la sta guardando anche lui, a casa sua. Tempo due squilli e, riconoscendo il numero, esordisce: “Hai visto?”. Replica del sottoscritto, breve e lapidaria: “Quando questo entra in forma, vinciamo lo Scudetto”. Riattacco. Nella foga del momento, non ho bisogno di aggiungere altro. Mi è sufficiente quel lampo di genio, talento e magia che ho appena visto.
A distanza di mesi, l’infortunio nell’amichevole col Villa Valle ha suscitato una reazione strana. Tutti a fare spallucce, quasi non ce ne importasse nulla. Nella mia testa continuo a ripetermi: Ragazzi, quello è Boga. Quando era al Sassuolo era per moltissimi l’erede del Papu e adesso lo trattiamo come una ruota di scorta. Il campo ha parlato: prestazioni, a essere buoni, altalenanti. Un’oscillazione costante tra la frustrazione e l’incompiutezza. Eppure, dal carro di Jeremie faccio fatica a scendere.
Non riesco ancora a convincermi che un genio come Gasperini non riesca a inserire nel sistema un potenziale così detonante come il dribbling e l’elettricità di Boga. A tutti gli effetti, non esiste un altro come lui in rosa: Lookman, a detta di molti un suo doppione, è molto più verticale, diretto. Più devoto all’attacco della profondità, meno alla creazione di vantaggi dal saltare l’uomo. Gasp lo vede ogni giorno in allenamento, e dall’individualità di Jeremie non è riuscito a cogliere i frutti sperati.
“Ogni melone ha la sua stagione”, recita il detto, italianizzato. Ancora persuaso del talento cristallino di Boga, mi interrogo da dove vengano le mancanze di questo matrimonio che, sino ad oggi, non s’ha da fare. Estrema rigidità dello staff tecnico? Esigua disposizione del giocatore ad adeguarsi a compiti e posizioni diversi da quelli nei quali aveva brillato in Inghilterra e in Emilia? Che sia a Roma, dopo la sosta o tra qualche giornata, la speranza è l’ultima a morire. Arriverà il suo tempo. Magari non porterà lo Scudetto, ma sarebbe sufficiente riguadagnare parte del credito sprecato nei primi mesi atalantini.
È brutto parlare di colpe o di fallimento. Ma che Jeremie rimanga un sogno di una sera di fine inverno sarebbe davvero un peccato.
Ombra
By staff