02/02/2019 | 04.41
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Qualcosa di eccezionale. O forse no

A volte, la sorte ti trova incagliato in un angolo strano.

Non mi è stato possibile trovare il biglietto per la partita e il traffico di quella lingua di paesi baschi francesi, all’imbocco di quelli spagnoli, non mi ha permesso di raggiungere la cascina del Tio in tempo per vedere da lui il quarto di finale.

La Playa de la Concha, di notte, d’inverno, è un’unghia di paradiso rimasta sulla terra. E’ lì che mi sono fermato a vedere la partita.

Fa freddo. Nel bar stile belle epoque c’è solo una coppia di amanti. Lei giovane, lui più maturo. Mi guardano con la faccia che implora di non raccontare a nessuno di averli visti lì.

Io non entro. Rimango fuori. Sulla terrazza che dà a strapiombo sulla spiaggia. Su un tavolino illuminato da una candela sotto vetro e riscaldato da uno di quei funghi che ti cuociono la faccia e ti lasciano ghiacciata la schiena.

E’ da lì che vedo la partita. Sul mio inseparabile pc, su uno di quei siti che offrono le partite gratis, a patto che ti sorbisci il commento in arabo o russo. Quando va bene, in inglese.

E’ da lì che la guardo. Sarei potuto entrare, ma ho preferito stare lì. Forse per la mia inseparabile bramosia di solitudine. Forse per condividere il freddo con i miei undici scudieri in campo. Forse, e più probabilmente, per cercare di somigliare il più possibile alle migliaia di donne e uomini, bambini compresi, seduti sui gradoni del Cesare ed Achille Bortolotti.

Sono in tensione, all’inizio della partita. Il sentore è strano. Quello di una notte particolare. Sono in tre a farmi compagnia. La mia solitudine ancestrale. Un piatto di jamon serrano selezionato da Miguel Angel, il titolare del bar, e la bottiglia di Vina Ardanza del 2009.

E’ bello respirare il freddo dell’oceano, con nessuno attorno, mentre guardi una delle poche cose certe che la vita ti offre. Il rumore cauto e incessante del golfo di Biscaglia, con i suoi mille colori neri della notte, il profumo di mare invernale sono impareggiabili. Rappresentano la giusta cornice per quella sera a suo modo unica. Fin ora.

Al termine del primo tempo dovrei fremere come mai. Forse urlare. Ma mi scopro sorprendentemente calmo. Come soltanto tre giorni prima lo ero dopo il terzo gol della Roma. Forse sono invecchiato. E, si sa, la vecchiaia è il mantello più impermeabile alle emozioni che l’uomo possa indossare.

Eppure sto assistendo a qualcosa di eccezionale. Così come quei due ragazzotti che si tuffano in mare alle 21,30. D’inverno. Con la temperatura vicino allo zero e una pioggerella tenera che scende ad accarezzare la spiaggia e il telone che ripara la veranda.

Sono del Nord. Tedeschi. O forse belgi. Si avvicinano alla terrazza. Allungo loro la seconda bottiglia che ho ordinato.

Tre a zero della pantera colombiana e il messaggio del Tio che mi invita a casa sua. “Tanto sai che non vado a letto presto.”

E’ bello vedere che quel vecchio di un altro tempo, di almeno due generazioni fa, maneggi il cellulare come un ragazzino.

Un’ora e sette minuti. Solitamente impiego un’ora e sette minuti a percorrere la distanza da San Sebastián a Villava. Ma questa volta ne impiegherò di più.

Mi voglio godere le strade tortuose che pennellano le pendici dei Pirenei. I tornanti morbidi nei boschi. Con i finestrini abbassati. Con i silenzi e i profumi che entrano. Con la mia voce urlata al buio che esce.

E’ da poco passata la mezzanotte. Il profumo della cascina del Tio, d’inverno, accende i ricordi di un tempo andato e di una gioventù che ormai è un lontano sapore delicato.

Il cane Ernesto è sul divano. Mi accoglie con uno sguardo. E’ sufficiente per farmi capire che è contento che sia lì.

Sul tavolo la bottiglia di orujo de hierbas e un piatto di queso manchego.

Si parla della partita. Di tattica. Di De Roon. Di Djimsiti. Del nuovo ruolo del Papu.

“Eppure non riesco a godere di una vittoria così eccezionale.”

Confido al Tio.

Si alza. Accende una sigaretta, nonostante i rischi della polmonite cronica. Si risiede con una lentezza eterna.

“Perché non è stata una vittoria eccezionale.”

Verso un altro bicchiere. Lo guardo.

“Non dirmi che non eri convinto che ce l’avreste fatta, questa volta.”

Bevo d’un fiato.

“Non dirmi che non te lo sentivi dentro. Come migliaia di altri tifosi dell’Atalanta.”

“…in effetti…”

Il Tio si siede. Si piega in avanti. La sua faccia disegnata dalle rughe mi si avvicina. Il fumo sale e si raccoglie nella palla del lampadario.

“Non è stata una vittoria eccezionale. E’ stata una vittoria meritata. Arrivata perchè maturata.”

Dormo qui, stanotte.
Sul divano. Un po’ rannicchiato, per fare spazio al cane Ernesto.

E ci ripenso.

Forse sì.

Questa vittoria non l’avevo sperata.

L’avevo sentita.


Rodrigo Dìaz

By staff
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