Schelotto: "Ho lavorato anche a Natale, sono pronto per la Serie A"
Sulla carta d'identità c'è scritto 'Ezequiel', ma per tutti è El Galgo: "In spagnolo vuol dire levriero. E' un soprannome che mi hanno dato da bambino quando ero nelle giovanili del Banfield. Mi hanno chiamato così perché corro senza fermarmi mai, ho la gamba lunga e molta potenza fisica". Schelotto non conosce sosta: sbarca in Italia a 19 anni e se ne innamora subito: "Oggi è la mia seconda casa" racconta nella nostra intervista l'ex giocatore di Cesena, Catania, Inter, Chievo e tante altre squadre. Dopo la scadenza del contratto col Brighton in Premier League, oggi Schelotto è senza squadra ma pronto a rilanciarsi.
Come sta vivendo questi mesi da svincolato?
"Sono cinque mesi che sono svincolato. Per me è una novità e un momento strano. Sono sempre stato abituato ad allenarmi e giocare a calcio, a vivere più sul campo che a casa. Ma in questo anno duro e complicato per tutti io non posso lamentarmi, ringrazio Dio per essere accanto a mia moglie e mia figlia che mi sostengono sempre e mi spingono ad andare avanti fiducioso e a testa alta. Io mi sento tranquillo e sereno, anche se un po' dispiaciuto per non poter giocare. Sono tre mesi che mi alleno tutti i giorni, sono andato a correre anche il giorno di Natale. Ho 31 anni e voglio giocare ancora per tanto tempo, aspetto la mia opportunità e intanto mi tengo in forma".
Nel 2008 sbarca in Italia, a Cesena. Che ricordi ha?
"All'inizio sono stati mesi difficili perché non avevo il trasfer. Ci ha messo dieci mesi ad arrivare, ma quando sono riuscito a prenderlo è stata come una liberazione. Cesena mi ha spalancato le porte del grande calcio, ringrazio sempre Bisoli per avermi dato fiducia ed avermi fatto diventare un grande giocatore. Ci sentiamo ancora, per me è come un papà. Con quella squadra siamo saliti dalla C alla B e dalla B alla A, prima partita all'Olimpico contro la Roma a 20 anni e dopo tre giornate eravamo primi in classifica. Abbiamo vinto anche contro il Milan che quell'anno ha conquistato lo scudetto. Abbiamo fatto cose straordinarie, emozioni che non dimenticherò mai".
A Catania ha fatto parte di una squadra tutta argentina allenata da Cholo Simeone.
"Eravamo 15 argentini tra calciatori e staff. Era il primo anno del Cholo in una panchina europea, era identico a come lo vedete oggi. Una persona che vuole sempre vincere, che trasmette un'energia pazzesca per dare sempre il massimo fino all'ultimo secondo. Basta capire dov'è il suo Atletico Madrid per capire di che livello è. Un allenatore che migliora sempre di più, lo stimo molto e sono contento per quello che sta facendo. La mia esperienza con lui è stata molto breve, è durata solo sei mesi perché poi l'Atalanta mi ha voluto a tutti i costi".
Ci racconta il suo trasferimento dall'Atalanta all'Inter?
"L'opportunità di giocare in una big è un treno che non passa spesso. Arrivavo dall'Atalanta e da una situazione difficile a livello personale, a Bergamo c'erano molte voci su di me ma io non ho mai voluto rispondere. Mi piace sempre farlo sul campo. Per la situazione che si è creata ho voluto cambiare aria, e appena c'è stata l'opportunità dell'Inter non me la sono fatta sfuggire. Sono arrivato in uno spogliatoio pieno di campioni, in panchina c'era Stramaccioni e al primo derby ho fatto subito gol".
Che emozione è stata?
"Indimenticabile. E' stata talmente forte che mi sono tatuato la data di quel gol. Quasi non ci credevo di aver segnato. Quel gol mi ha aiutato a voltare pagina e uscire da una situazione complicata: è stato come una liberazione. Per la prima volta allo stadio c'erano tutti e sei i miei fratelli, i miei genitori, la mia futura moglie e i miei nipotini: 16 Schelotto sulle tribune di San Siro. Dopo il gol ho pensato subito a tutti i sacrifici fatti dai miei genitori, quel gol è stato anche un regalo per loro. Ringrazio Moratti che mi ha aiutato aprendomi le porte del suo club".
Poi è finito ai margini della rosa.
"Purtroppo sono cose che succedono. Dopo qualche mese dal mio arrivo la società è stata venduta, ci sono stati tanti cambiamenti tra cui anche l'arrivo di un nuovo allenatore. Io avevo ancora quattro anni di contratto e a 23 anni avrei voluto ancora qualche occasione che purtroppo non mi è stata data. Ma va bene così, la vita va avanti e non ho nessun rimpianto".
Ci racconta la sua trasformazione da esterno di centrocampo a terzino?
"Il primo a dirmelo fu Prandelli, allora ct della Nazionale. Io ero stato l'ultimo escluso dalle pre-convocazioni per l'Europeo del 2012. Avevo 22 anni, e già fare parte di quel gruppo per me era il massimo. Prandelli mi disse che attaccando molto la profondità senza palla avrei potuto giocare bene anche qualche metro più indietro. Poi è passato qualche anno, e quando sono arrivato allo Sporting, prima di firmare, l'allenatore Jorge Jesus mi dice che voleva farmi giocare terzino. Per me non c'è stato problema, ho accettato subito per dimostrare anche a me stesso che avrei potuto farcela".
Che ricordi ha dell'avventura allo Sporting?
"Del calcio portoghese sapevo poco e niente, ma il primo impatto è stato subito positivo. Sono stati due anni straordinari, in uno dei quali abbiamo anche fatto il record di punti sfiorando il titolo. Lì sono migliorato molto tatticamente nella fase difensiva, e quando sono arrivato in Inghilterra ho mantenuto il mio ruolo di terzino. In Premier amano il gioco veloce, la testa deve andare a mille ma io ero già pronto perché Jesus mi aveva già dato le basi allo Sporting. Mi è servito molto lavorare con lui".
Quasi dieci anni di carriera in Italia, quanto le manca la Serie A?
"L'Italia mi manca molto. E' un Paese dove, quando mi ritirerò tra 10 anni, voglio andare a vivere con la mia famiglia. Guardo spesso la Serie A, lì ho molti amici con i quali ancora mi sento. Mi piacerebbe tornare nel campionato italiano, ho passato anni bellissimi e tutte le squadre dove sono stato si ricordano ancora di me. Oggi voglio ancora un ruolo da protagonista, perché so che posso diventarlo".
L’uruguaiano del Cagliari Nandez tempo fa ha risposto a una sua storia su Instsgram scrivendo “ti aspettiamo”.
"Ero convinto di andare a giocare a Cagliari, mi aspettavano tutti. Ero in viaggio per firmare il contratto, poi non so cosa sia successo. Quando sono rientrato in Inghilterra mi sono chiesto anch'io come mai non si è concretizzato il trasferimento, sono rimasto deluso dalle persone che in quel periodo curavano i miei interessi. Forse è stato un errore mio, mi sono fidato di persone che non mi hanno detto tutta la verità. Ho saputo cose che mi hanno fatto male. Per questo ho voluto cambiare agenti, e sono gestito dall'agenzia Stellar Group, dove ci sono persone che mettono l'aspetto umano davanti a quello sportivo. Ed è quello che cercavo io".
fonte calciomercato.com
By marcodalmen