Serie A a 18 squadre? Più pro che contro
La possibile riforma dei campionati è il maggiore tema di politica calcistica attuale e ovviamente la questione più scottante è quella possibile riduzione a 18 squadre della Serie A. Il punto è talmente caldo che le 20 compagini che ora militano nella massima serie nazionale sono spaccate su due fronti: da un lato vi sono le squadre di punta, che spingono per la diminuzione, dall’altro quelle squadre medio-piccole, più numerose, che sono decise a mantenere il formato attuale a 20 formazioni.
Per il momento le divergenze sembrano difficilmente conciliabili, rendendo incerto il raggiungimento di una maggioranza qualificata (14 voti) per stabilire la posizione della Lega Serie A. La questione richiederà la convocazione di un’assemblea apposita, con la prossima che andrà in scena il prossimo 26 gennaio.
Come si diceva, però, questa è soltanto la punta di un iceberg ben più corposo visto che il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina durante l’ultimo Consiglio federale dello scorso 20 dicembre ha sottolineato l’importanza di riformare l’intero calcio italiano. Per questo ha fissato per il prossimo 11 marzo un’assemblea straordinaria durante la quale, in mancanza di un accordo tra le componenti, verrà tolto l’obbligo d’intesa che attualmente consente alle singole componenti di bloccare la riforma. Questo passo potrebbe aprire la strada a una soluzione più agevole.
Nel frattempo, tavoli tecnici sono al lavoro per individuare una soluzione condivisa e la Serie A, essendo il principale motore economico, avrà un ruolo chiave nella redistribuzione dei fondi in vista di una riforma. La complessità della situazione emerge anche dalla crisi finanziaria del calcio italiano, causata dalla pandemia, la perdita di sostegni governativi e la mancanza di aiuti.
I CLUB PRO E CONTRO LA DIMINUZIONE DELLE SQUADRE
È logico quindi interrogarsi sul cui prodest di una eventuale diminuzione delle squadre nella massima serie: su a chi insomma possa giovare una formula che non viene utilizzata dal 2003/04 e che venne introdotta nel 1988/99 per ampliare la massima categoria che era a 16 squadre sino ad allora. E su chi invece porterebbe averne degli svantaggi.
Tra le beneficiarie ovviamente ci sono le grandi squadre. Le big infatti sono quelle tradizionalmente impegnate in Europa e passare da 38 a 34 turni di campionato alleggerirebbe il loro già ingolfatissimo calendario che dalla stagione 2024/25 si infittirà ancora di più visto che saranno introdotte le riforme delle coppe europee, con l’aumento delle partite nella fase a gironi della Champions League. Dalla stagione 2024/25 un top club, arrivando in fondo a tutte le competizioni, potrebbe giocare fino a 62 partite nell’arco di 10 mesi di stagione.
Un minor numero di partite da disputare inoltre potrebbe fare calare il pericolo infortuni visto che solitamente poi sono gli stessi club impegnato in Europa che forniscono giocatori alle nazionali.
E quindi in qualche caso la possibilità di abbassare la necessità delle rose ipertrofiche che devono avere a disposizione ora e che sono la maggior voce al passivo dei club.
Le squadre medio-piccole sono invece contrarie visto che rischierebbero di perdere due posti nella massima serie con i benefici economici che ne conseguono soprattutto in materia di diritti televisivi e incassi. Sulla stessa linea ci sono anche i club maggiori di Serie B (che però non hanno potere di voto) in quanto sono le più probabili nuove ascendenti nel campionato maggiore.
In particolare questa seconda fazione che propende per il mantenimento dello status quo sottolinea come sia la Premier League e sia la Liga, ovvero i due i campionati più importanti nel mondo, mantengano un formato a 20 squadre. E soprattutto che una riduzione del numero di squadre potrebbe influire negativamente sul valore dei diritti tv domestici, visto che i broadcaster avrebbero a disposizione una partita in meno ogni weekend e quattro turni in meno di campionato (per un totale quindi 306 match rispetto agli attuali 380).
Insomma il processo di raggiungimento di un accordo si preannuncia complesso e delicato. Anche se la situazione potrebbe cambiare qualora, l’11 marzo, si giungesse a una riforma dello statuto federale con l’abolizione del diritto d’intesa (in tal caso, però alcune squadre sono già pronte a presentare ricorsi se la decisione sulla riduzione del numero delle squadre non fosse presa dalla Serie A).
18 SQUADRE PER LA SERIE A? I PRO E I CONTRO
Queste per sommi capi sono quindi le posizioni in campo.
Entrando nello specifico, non si può non notare che non sono pochi i vantaggi di tornare a una Serie A a 18 squadre. Al di là del fatto dei corsi e ricorsi storici, visto che numerosi osservatori segnalano che quando il campionato italiano era considerato il migliore al mondo – più o meno metà anni ’80 sino al 2005 quando iniziò a essere sensibile il dominio di Premier League e Liga – non è mai stato a 20 squadre. Il passaggio da 16 a 18 squadre avvenne infatti solo nel 1988/89, mentre l’allargamento a 20 squadre a partire dal 20024/05 in seguito al caso Catania (che portò al blocco delle retrocessioni nei campionati inferiori), con il ritorno al format a 20 per la prima volta dal 1951/52.
Un secondo elemento è probabilmente più importante e concerne la qualità delle partite. Qualora venissero depennate due squadre di piccolo calibro, vi sarebbero più o meno 40 giocatori in meno nella massima categoria, ma tutti abbastanza mediocri. Vi sarebbe insomma una selezione maggiore sui protagonisti della massima categoria e i migliori delle squadre depennate si andrebbero presto ad accasare in squadre della massima serie. Nei fatti ci sarebbe quindi un salto di qualità medio del tasso tecnico.
Per converso il punto sul possibile impatto sugli incassi da diritti televisivi non è di second’ordine. Non tanto per il match in meno per ogni turno, visto che i dati di ascolti di partite che coinvolgono due squadre minori sono sempre deludenti, quanto perché i broadcaster avrebbero quattro weekend in meno nei quali trasmettere le partite. E tutto questo in un momento nel quale i prezzi pagati dalle emittenti alle leghe sono in un fase discendente in tutta Europa: la Serie A ha ottenuto soltanto 900 invece degli 1,2 miliardi posti come obiettivo, la Ligue 1 stia faticando e la Premier League per avere un aumento ha dovuto far crescere il numero di partite da trasmettere in diretta.
Va però detto che, per quanto riguarda l’Italia, i contratti con DAZN e Sky sono ormai blindati sino al 2029 e che la torta verrebbe però divisa su un minor numero di squadre.
In linea teorica vi potrebbe esser un possibile impatto sui prezzi di biglietti e abbonamenti. I club potrebbero alzarli per sopperire a due partite in meno in casa, alternativamente, potrebbe essere il club a risentirne. Oltre a un possibile impatto a livello commerciale, per questione di visibilità degli sponsor in un minor numero di partite. In più, la diminuzione del numero di partite in Serie A e il contemporaneo aumento delle partite di Champions League potrebbe anche portare ancora più appeal alle partite europee rispetto al campionato, con rischio di conseguente di una ulteriore perdita di interesse per i campionati nazionali rispetto a quelli internazionali.
È evidente quindi come tutti gli aspetti negativi ricadrebbero per lo più sulle squadre non impegnate in Europa (le altre avrebbero le coppe per compensare) e quindi il divario tra i due partiti in seno alla Lega Serie A non è così semplice da districare.
PREMIER, LIGA E NON SOLO: L’ESEMPIO BUNDESLIGA
Questo detto, se è vero che Premier League e Liga, ovvero i migliori tornei continentali al momento, sono di 20 squadre, la Bundesliga ne ha da sempre 18 e il movimento tedesco è in veloce ascesa negli ultimi anni. Tanto da essere nel ranking UEFA della stagioone 2023/24 i club tedeschi sono secondi dietro solo a quelli italiani. La Bundesliga per altro poggia sulla nazione economicamente più forte in Europa. Come a dire che se il settore calcio in quella che è la maggiore potenza economica del continente si basa su una massima serie a 18 squadre, non vale la norma del così fan tutti ed è quindi l’esempio da seguire. Infatti Premier e Liga vivono di due meravigliose (per loro) eccezioni.
Il torneo inglese è ormai inarrivabile per dimensioni economiche visto l’appeal che ha in tutto il mondo. E quello spagnolo ha in Madrid e Barcellona due squadre che sono oltre ogni possibilità di paragone con i club italiani al momento e proprio i due colossi iberici da sempre permettono al torneo spagnolo (e questo conta molto nella vendita dei diritti tv all’estero) di avere tra i campioni migliori della storia del calcio traendone un grande lustro. Se si escludono infatti Pelé, Garrincha, Eusebio, Beckenbauer e George Best (e per il momento Haaland e Mbappé), quasi tutti i mostri sacri della storia del calcio hanno vestito la casacca in una delle due squadre durante la loro carriera.
La Bundesliga invece, se si esclude il colosso Bayern, ha mostrato negli ultimi anni grandi idee soprattutto nell’attività di scouting di club come il Borussia Dortmund, il Lipsia o il Bayer Leverkusen. Basti pensare ai giocatori che sono passati nel Borussia negli ultimi anni: Haaland e Bellingham in primis. Scouting di alto livello che poi permette grandi guadagni dal player trading. Un’attività che ormai è diventata una prassi non solo per club minori della serie A ma anche per i più grandi: basti pensare alle plusvalenze ottenute da Inter, Juventus e Napoli nelle ultime stagioni rivedendo i vari Onana, Pogba e Koulibaly con guadagni pesanti.
fonte calcioefinanza.it
By marcodalmen