Silenzio
Quanto è lungo il silenzio? Lo si calcola con il tempo trascorso tra una parola e l’altra o con il numero di silenzi interposti fra un pensiero e l’altro?
E si può veramente considerare silenzio il momento muto che accompagna un pensiero?
Io e Charo siamo accumunati, forse, dal silenzio.
Io amo rimanere in silenzio per giorni, lei odia i miei silenzi. Forse è per questo che non vivremo mai assieme.
Forse è per questo che ci ameremo per sempre.
El Tio ed io siamo accumunati, sicuramente, dal silenzio.
Io mi presento da lui senza avvisare e lui mi accoglie senza parlare.
E guardiamo le partite dell’Atalanta senza commentare.
Salvo poi lasciarci andare a discorsi infiniti, fin dentro il buio della notte. Sulla partita e sulle particolarità del vino che abbiamo bevuto mentre la vedevamo. Perché, come disse Hemingway passeggiando per le vie di Pamplona, il vino è uno dei segni di maggior civiltà nel mondo.
E, un po’, el Tio ci assomiglia a Hemingway. Sarà per i capelli. Sarà per la faccia decisa e la barba bianca.
Però, ci siamo lasciati senza parlare, dopo la batosta con i diavoli rossi di Klopp.
Abbiamo bevuto un Rioja Marques de Caceres, dopo la pesante sconfitta. Senza parlare. Seduti fuori. Guardando il profilo scuro dei Pirenei, dei quali una luna generosa ci lasciava immaginare le sagome.
Al freddo. Nonostante tutto. Nonostante il virus. Con il calice fra le mani e la bottiglia appoggiata a terra. Di fianco al cane Ernesto.
Non abbiamo più parlato da quel giorno.
La pandemia ci ha incarcerato e il silenzio è rimasto l’unico altrove verso il quale navigare.
El Tio verso il suo ed io dentro al mio.
Ma andrò da lui, per la partita di ritorno.
Ci ritornerò a piedi. Anche se non si può. Anche se è vietato.
Ci tornerò in silenzio. Ci tornerò con una bottiglia di Rioja Alta Gran Reserva, che ho già comprato. Perché, se la pandemia mi ha lasciato senza soldi, allora quei pochi rimasti devono essere spesi bene.
Ci tornerò senza avvisarlo. Perché so che mi aspetta.
E, ne sono certo, quella sera non rimarremo in silenzio.
Rodrigo Dìaz
E si può veramente considerare silenzio il momento muto che accompagna un pensiero?
Io e Charo siamo accumunati, forse, dal silenzio.
Io amo rimanere in silenzio per giorni, lei odia i miei silenzi. Forse è per questo che non vivremo mai assieme.
Forse è per questo che ci ameremo per sempre.
El Tio ed io siamo accumunati, sicuramente, dal silenzio.
Io mi presento da lui senza avvisare e lui mi accoglie senza parlare.
E guardiamo le partite dell’Atalanta senza commentare.
Salvo poi lasciarci andare a discorsi infiniti, fin dentro il buio della notte. Sulla partita e sulle particolarità del vino che abbiamo bevuto mentre la vedevamo. Perché, come disse Hemingway passeggiando per le vie di Pamplona, il vino è uno dei segni di maggior civiltà nel mondo.
E, un po’, el Tio ci assomiglia a Hemingway. Sarà per i capelli. Sarà per la faccia decisa e la barba bianca.
Però, ci siamo lasciati senza parlare, dopo la batosta con i diavoli rossi di Klopp.
Abbiamo bevuto un Rioja Marques de Caceres, dopo la pesante sconfitta. Senza parlare. Seduti fuori. Guardando il profilo scuro dei Pirenei, dei quali una luna generosa ci lasciava immaginare le sagome.
Al freddo. Nonostante tutto. Nonostante il virus. Con il calice fra le mani e la bottiglia appoggiata a terra. Di fianco al cane Ernesto.
Non abbiamo più parlato da quel giorno.
La pandemia ci ha incarcerato e il silenzio è rimasto l’unico altrove verso il quale navigare.
El Tio verso il suo ed io dentro al mio.
Ma andrò da lui, per la partita di ritorno.
Ci ritornerò a piedi. Anche se non si può. Anche se è vietato.
Ci tornerò in silenzio. Ci tornerò con una bottiglia di Rioja Alta Gran Reserva, che ho già comprato. Perché, se la pandemia mi ha lasciato senza soldi, allora quei pochi rimasti devono essere spesi bene.
Ci tornerò senza avvisarlo. Perché so che mi aspetta.
E, ne sono certo, quella sera non rimarremo in silenzio.
Rodrigo Dìaz
By staff