11/05/2021 | 23.30
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Soldati semplici - by Ombra

Alessandro De Marchi in maglia Rosa. Trionfo del gregario, dell’uomo delle fughe, del pedalatore infaticabile. La ottiene in una giornata di pioggia in occasione del primo traguardo in salita del Giro 2021. Qualora non foste appassionati di ciclismo, il nome del corridore friulano non vi farà tornare nulla alla mente. Non è un grande velocista. Non uno specialista delle gare di un giorno. Non uno scalatore in grado di competere per la classifica dei grandi giri. Eppure, nell’ambiente, è rispettato da tutti. Riconosciuto come il compagno che vorresti avere in ogni occasione con te nel gruppo, ruota a ruota con gli avversari. Pronto a sacrificarsi per il proprio capitano. Disposto a prendere quella folata di vento in più o a tirare quel kilometro ancora pur di proteggere chi è chiamato a raggiungere traguardi più importanti. Qualche vittoria di tappa alla Vuelta, onorevoli piazzamenti a Giri e Tour de France. Ma gli allori personali latitano. O meglio. Per gli amanti del sudore, della fatica, dell’abnegazione, De Marchi nel 2014 ha ottenuto il suggello più agognato. Il Premio della Combattività del Tour de France, assegnato al corridore che nell’edizione ha saputo distinguersi per il coraggio e l’assenza di arrendevolezza nel cedere al rincorrere nel gruppo nelle giornate in cui si lanciava disperatamente in fuga. Il Rosso di Buja, poco celebrato e decorato, ma ugualmente amato e ammirato. Dopo quindici anni di carriera, nella tappa di Sestola, finalmente è giunto il suo momento di gloria. Saranno anche solo i quindici minuti tanto cari ad Andy Warhol. Ma sono il coronamento prezioso, occasione di essere primattore in una carriera sempre vissuta come personaggio di secondo piano, protagonista delle sottotrame che rendono tanto magnifico lo spettacolo.

Pedalatore infaticabile. Collante e leader emotivo della squadra. Costantemente sottovalutato e dimenticato quando si pensa ai grandi nomi del peloton. Ma non per questo meno meritevole di encomio. De Marchi ottiene il primato in classifica in una giornata in cui non arriva la vittoria di tappa. Troppe luci della ribalta, tutte insieme, rischierebbero di accecarlo. Rischierebbero di bruciare le ali cerate di Icaro. Vedendo le sue lacrime davanti alle telecamere mentre, pensando agli sforzi di una vita, dedica questo momento indimenticabile alla moglie, i cuori degli atalantini non possono non collegare l’impresa di De Marchi alle rincorse, ai contrasti e al duro lavoro di Marten De Roon e Remo Freuler. Insostituibili. Motorini instancabili della sfrecciante Atalanta del Gasp. Facile fare i nomi dei vari Gomez, Ilicic, Zapata, Muriel. Gli stessi Conti, Cristante, Mancini, Malinovskyi. Più appariscenti. Più presenti nel tabellino dei marcatori e sui titoli dei giornali. Ma a quei due è impossibile rinunciare. Tanto imprescindibili quanto poco celebrati. Tanto fondamentali quanto poco rinomati. Pochissimi spifferi di mercato riguardo quei due. Per fortuna. Perché, per costruire una grande squadra, le fondamenta poste dai gregari devono essere solide. E noi bergamaschi, in quanto a calce e malta, siamo i migliori intenditori di materia prima al mondo. Marten e Remo. Diga e leva. Nell’ombra, sempre. La speranza è che, per loro come per De Marchi, arrivi un momento di “rivincita”, in cui tutti, ma proprio tutti, non potremo più fare finta di niente. E omaggiarli quanto dovuto.

 

Ombra

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