Suerte Papu! - by Ago76
ll Papu se n’è andato al Siviglia, dopo parecchie settimane passate nel limbo.
Apparentemente sembra una soluzione che non scontenta nessuno, con la società che incassa (quasi) quanto richiesto, il giocatore aumenta il suo ingaggio ed anche la durata del contratto, concludendo una querelle che si protraeva da troppo tempo e rischiava di diventare deleteria per tutti.
Cosa sia effettivamente successo non lo sa quasi nessuno (come è giusto che sia) ed a noi tifosi è concesso soltanto interpretare ciò che traspare e valutare i dati oggettivi.
E di oggettivo c’è che la squadra ha fin da subito scaricato quello che era il suo capitano. Indizi (anzi, prove certe) sono i risultati e le prestazioni fin dall’esclusione del Papu, con la squadra che ha inanellato un’importante serie di risultati utili che denotano unità e compattezza monolitica del gruppo anche senza il capitano. Un’unità di intenti difficilmente ottenibile se qualcuno nello spogliatoio avesse remato a favore del Papu.
E poi, attraverso i tanto bistrattati social network si può notare che il “nucleo storico” della squadra (tutti tranne i nuovi) ha interrotto le relazioni sui vari canali con il Papu. Che nel linguaggio moderno significa che l’amicizia è interrotta anche nella realtà.
Ergo, il miglior giudice possibile ha emesso la sentenza. Solo chi vive lo spogliatoio sa realmente cosa è successo ed una presa di posizione così compatta non lascia adito a dubbi. Almeno da parte mia.
Di oggettivo c’è anche la differente gestione della situazione nei confronti di stampa e tifosi da parte dei protagonisti. Da una parte la società, ermetica e chiusa in sé stessa, decisa verso una gestione interna del problema. Dall’altra, l’ormai ex capitano che ha inanellato gaffes in serie, tra post-bomba controproducenti (vedasi quello prima del sorteggio di Champions), inopportune affermazioni del procuratore, o inni avversari cantati in pubblico. Sicuramente se avesse seguito la società sulla strada del silenzio avrebbe evitato di compromettere una situazione in bilico. E, a mio avviso, in questo frangente sicuramente è stato male consigliato dagli appartenenti del suo entourage.
Dispiace, perché non doveva finire così. Sembrava una di quelle storie d’amore destinate a concludersi con il lieto fine. Il giocatore di buon livello che riesce a completare la sua maturazione ed esplodere con la nostra maglia, che si prende sulle spalle la squadra raggiungendo risultati inimmaginabili fino a qualche tempo prima. Che si lega in modo viscerale, unitamente alla famiglia, con la nostra città fino ad ergersi emblema della stessa, incarnandone lo spirito degli abitanti. Che rinuncia a proposte più allettanti pur di continuare ad essere la bandiera della nostra squadra.
Ma ora che la bandiera è stata ammainata, cosa dobbiamo pensare di questo rapporto tra il Papu e la nostra città? Che tutto era amore vero, un’illusione o una realtà virtuale costruita ad hoc?
La verità sta sempre nel mezzo, almeno così si dice. Da un lato la capacità del Papu ad usare i social network ed a costruire (e costruirsi) un’immagine ad uso e consumo dei tifosi. Dall’altro gli indubbi meriti di un calciatore che è riuscito a migliorare sé stesso e tutto l’ambiente che lo circondava.
Perché se fosse stato amore vero e sincero, niente avrebbe potuto scalfirlo. Quando il sentimento è profondo, tutto si può superare. Basta volerlo. Si superano incomprensioni, litigi e magari anche tradimenti. E quindi non si riesce a capire come una piccola fessura si sia potuta trasformare in una spaccatura insanabile. Forse l’ego ha prevalso. Forse la mancanza di dialogo. Forse. E noi non lo sapremo mai. Ma un capitano, se veramente tale, dovrebbe far passare in secondo piano gli screzi e le vicende personali, anteponendo il bene comune a tutto il resto.
Ma per quanto grande è il segno che ha lasciato, ormai lui appartiene al passato e bisogna voltare pagina, volenti o nolenti. E non si chiama cinismo o mancanza di riconoscenza. Si chiama realismo. Il che non significa dimenticare ciò che ci ha regalato.
Quello resterà scolpito nei nostri cuori e nelle nostre menti ad imperitura memoria, come uno dei migliori giocatori che abbiano vestito la nostra maglia in tutta la nostra ultracentenaria storia.
I sedici gol messi a referto nel primo campionato del Gasp, il tiro a parabola con l’Everton a Reggio Emilia (con la curva che frana verso il campo), la punizione vincente a Lione con cui si fece conoscere dai francesi, la serpentina con il Sassuolo in cui si fece beffa di mezza squadra, la discesa sulla fascia con tunnel al Giuda Conti sotto la Nord con il Milan, oppure il masterpiece in Champions con la Dinamo. Quanti me ne vengono in mente… E sono solo alcuni dei bellissimi ricordi che ho del giocatore Papu Gomez, e che nessuno potrà scalfire.
Ciò che ne uscirà compromesso invece sarà l’immagine del capitano, dell’uomo Papu Gomez. Sicuramente non verrà ricordato né come un traditore, né tantomeno come un voltafaccia. Ma nemmeno come un emblema di una città e dei tifosi. Avrebbe potuto, forse.
Perché il simbolo di questa Atalanta è l’Atalanta stessa. Nessuno viene prima dell’Atalanta. Come spesso si dice “conta solo la maglia e solo i tifosi la portano tutta la vita”. In una sorta di “panta rei”, l’Atalanta si evolve in un eterno divenire.
Nessun giocatore qui a Bergamo verrà divinizzato unicamente per le sue gesta sportive. Nessuno. Per passare nell’Olimpo dei tifosi orobici bisogna far breccia nei loro cuori unendo alle prestazioni i gesti ed il comportamento esemplare che solo pochissimi hanno tenuto. Poche parole, abnegazione alla causa ed amore per la nostra realtà. Solo così si conquista la nostra città.
Ed adesso questo lo avranno capito anche tutti quei bambini (tra cui anche mio figlio) che avevano issato il Papu Gomez ad eroe neroazzurro, campione emblema dei successi neroazzurri e bandiera della squadra. Panta rei, appunto.
Ora però non posso che augurargli buona fortuna, lontano da Bergamo. Sperando di non averlo mai come avversario.
Suerte Papu !
Ago 76
Apparentemente sembra una soluzione che non scontenta nessuno, con la società che incassa (quasi) quanto richiesto, il giocatore aumenta il suo ingaggio ed anche la durata del contratto, concludendo una querelle che si protraeva da troppo tempo e rischiava di diventare deleteria per tutti.
Cosa sia effettivamente successo non lo sa quasi nessuno (come è giusto che sia) ed a noi tifosi è concesso soltanto interpretare ciò che traspare e valutare i dati oggettivi.
E di oggettivo c’è che la squadra ha fin da subito scaricato quello che era il suo capitano. Indizi (anzi, prove certe) sono i risultati e le prestazioni fin dall’esclusione del Papu, con la squadra che ha inanellato un’importante serie di risultati utili che denotano unità e compattezza monolitica del gruppo anche senza il capitano. Un’unità di intenti difficilmente ottenibile se qualcuno nello spogliatoio avesse remato a favore del Papu.
E poi, attraverso i tanto bistrattati social network si può notare che il “nucleo storico” della squadra (tutti tranne i nuovi) ha interrotto le relazioni sui vari canali con il Papu. Che nel linguaggio moderno significa che l’amicizia è interrotta anche nella realtà.
Ergo, il miglior giudice possibile ha emesso la sentenza. Solo chi vive lo spogliatoio sa realmente cosa è successo ed una presa di posizione così compatta non lascia adito a dubbi. Almeno da parte mia.
Di oggettivo c’è anche la differente gestione della situazione nei confronti di stampa e tifosi da parte dei protagonisti. Da una parte la società, ermetica e chiusa in sé stessa, decisa verso una gestione interna del problema. Dall’altra, l’ormai ex capitano che ha inanellato gaffes in serie, tra post-bomba controproducenti (vedasi quello prima del sorteggio di Champions), inopportune affermazioni del procuratore, o inni avversari cantati in pubblico. Sicuramente se avesse seguito la società sulla strada del silenzio avrebbe evitato di compromettere una situazione in bilico. E, a mio avviso, in questo frangente sicuramente è stato male consigliato dagli appartenenti del suo entourage.
Dispiace, perché non doveva finire così. Sembrava una di quelle storie d’amore destinate a concludersi con il lieto fine. Il giocatore di buon livello che riesce a completare la sua maturazione ed esplodere con la nostra maglia, che si prende sulle spalle la squadra raggiungendo risultati inimmaginabili fino a qualche tempo prima. Che si lega in modo viscerale, unitamente alla famiglia, con la nostra città fino ad ergersi emblema della stessa, incarnandone lo spirito degli abitanti. Che rinuncia a proposte più allettanti pur di continuare ad essere la bandiera della nostra squadra.
Ma ora che la bandiera è stata ammainata, cosa dobbiamo pensare di questo rapporto tra il Papu e la nostra città? Che tutto era amore vero, un’illusione o una realtà virtuale costruita ad hoc?
La verità sta sempre nel mezzo, almeno così si dice. Da un lato la capacità del Papu ad usare i social network ed a costruire (e costruirsi) un’immagine ad uso e consumo dei tifosi. Dall’altro gli indubbi meriti di un calciatore che è riuscito a migliorare sé stesso e tutto l’ambiente che lo circondava.
Perché se fosse stato amore vero e sincero, niente avrebbe potuto scalfirlo. Quando il sentimento è profondo, tutto si può superare. Basta volerlo. Si superano incomprensioni, litigi e magari anche tradimenti. E quindi non si riesce a capire come una piccola fessura si sia potuta trasformare in una spaccatura insanabile. Forse l’ego ha prevalso. Forse la mancanza di dialogo. Forse. E noi non lo sapremo mai. Ma un capitano, se veramente tale, dovrebbe far passare in secondo piano gli screzi e le vicende personali, anteponendo il bene comune a tutto il resto.
Ma per quanto grande è il segno che ha lasciato, ormai lui appartiene al passato e bisogna voltare pagina, volenti o nolenti. E non si chiama cinismo o mancanza di riconoscenza. Si chiama realismo. Il che non significa dimenticare ciò che ci ha regalato.
Quello resterà scolpito nei nostri cuori e nelle nostre menti ad imperitura memoria, come uno dei migliori giocatori che abbiano vestito la nostra maglia in tutta la nostra ultracentenaria storia.
I sedici gol messi a referto nel primo campionato del Gasp, il tiro a parabola con l’Everton a Reggio Emilia (con la curva che frana verso il campo), la punizione vincente a Lione con cui si fece conoscere dai francesi, la serpentina con il Sassuolo in cui si fece beffa di mezza squadra, la discesa sulla fascia con tunnel al Giuda Conti sotto la Nord con il Milan, oppure il masterpiece in Champions con la Dinamo. Quanti me ne vengono in mente… E sono solo alcuni dei bellissimi ricordi che ho del giocatore Papu Gomez, e che nessuno potrà scalfire.
Ciò che ne uscirà compromesso invece sarà l’immagine del capitano, dell’uomo Papu Gomez. Sicuramente non verrà ricordato né come un traditore, né tantomeno come un voltafaccia. Ma nemmeno come un emblema di una città e dei tifosi. Avrebbe potuto, forse.
Perché il simbolo di questa Atalanta è l’Atalanta stessa. Nessuno viene prima dell’Atalanta. Come spesso si dice “conta solo la maglia e solo i tifosi la portano tutta la vita”. In una sorta di “panta rei”, l’Atalanta si evolve in un eterno divenire.
Nessun giocatore qui a Bergamo verrà divinizzato unicamente per le sue gesta sportive. Nessuno. Per passare nell’Olimpo dei tifosi orobici bisogna far breccia nei loro cuori unendo alle prestazioni i gesti ed il comportamento esemplare che solo pochissimi hanno tenuto. Poche parole, abnegazione alla causa ed amore per la nostra realtà. Solo così si conquista la nostra città.
Ed adesso questo lo avranno capito anche tutti quei bambini (tra cui anche mio figlio) che avevano issato il Papu Gomez ad eroe neroazzurro, campione emblema dei successi neroazzurri e bandiera della squadra. Panta rei, appunto.
Ora però non posso che augurargli buona fortuna, lontano da Bergamo. Sperando di non averlo mai come avversario.
Suerte Papu !
Ago 76
By staff