05/08/2019 | 11.30
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Sulla rosa dell'Atalanta - by Pagno

pagnocobraIo non mi vergogno a dirlo.

Della rosa dell’Atalanta non mi è mai importato nulla.

Davvero.

E non è per fare il figo, o per fare il solito tifoso talebano.

A me da bambino interessava andare allo stadio, e in settimana andare in bici ed entrare liberamente nei cancelli di Zingonia, per vedere gli allenamenti della mia squadra.

Mi mettevo lì, appeso alla rete metallica a rombi, e respiravo il profumo dell’erba sollevata dal pallone appena calciato.

Imparavo le facce dei nuovi giocatori dal vivo, prima di riverderli domenica allo stadio.

Interagivo con i pensionati presenti, perché a Zingonia c’erano solo loro.

Quando ero fortunato, trovavo aperto il cancello che separava il parcheggio dalla vetusta palazzina degli spogliatoi, e potevo abbracciare i miei idoli.

Il più delle volte non mi riusciva nemmeno di parlare, dall’emozione.

“Come ti chiami?”, mi disse in quel giorno un certo Cobra Tovalieri.

“Stefano”, gli risposi con un fil di voce.

A me della rosa interessava nulla.

Restavo estasiato a guardare Mondonico seduto su un pallone che impartiva lezioni di calcio.

E come in quel giorno, a volte, mi raggiungeva a Zingonia mio papà, con la macchina fotografica.

“Che rullino hai dentro papà?”, gli chiedevo sempre.

Se rispondeva “da 24”, mi accontentavo.

E poi via a sviluppare le foto da Francesco Moro, perché sul retro di esse mi sarei fatto rifare l’autografo.

Mio papà è sempre stato come me.

Basta che giochi l’Atalanta, non si cura affatto della rosa.

“È forte quello nuovo?”, ogni anno mi chiede mio papà, nonostante non gli interessi.

“È dell’Atalanta papà, certo che è forte”

 

Pagno

 

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