Ultimouomo parla di un ex dirigente dell' Atalanta
Giovanni Sartori, l’uomo nell’ombra
Come il DS del Bologna è diventato uno dei migliori nel suo lavoro.
Sia lodata una chiamata inaspettata. «Devi smettere di giocare, ho in mente altro per te». A parlare è Luigi Campedelli, storico presidente del Chievo, squadra in cui il trentenne Sartori, che ascolta in silenzio all’altro capo del telefono, gioca dopo una carriera di alti e bassi tra Milan, Sampdoria e tanta Serie B. Sceglie di fidarsi e smettere. Quando sei fermo il mondo gira lo stesso e va più veloce, ma forse si vede meglio. Cambia la prospettiva. «All’inizio pensai che lo dicesse perché mi considerava scarso, ma effettivamente aveva un’idea precisa su di me. Ci aveva visto lungo». Negli anni l’ha raccontato con il sorriso, visto come è andata poi.
Giovanni Sartori inizia come vice allenatore del Chievo in C1, due anni, dall’89 al ’91, accanto a Gianni Bui, poi, di colpo diventa il direttore sportivo della prima squadra. Lì arriva il secondo grande bivio della sua giovane carriera. Due giorni dopo la nomina, muore il presidente Campedelli. Gli succede il figlio Luca, e Giovanni può scegliere se restare a bordo o cambiare nuovamente vita. Prevale l’istinto: resta. E il tempo gli darà ragione. Sono un trio di giovani: il presidente, lui come DS e l’allenatore, Alberto Malesani. Si faranno forza insieme e insieme faranno strada.
Il miracolo Chievo
Se parli di quel Chievo dei miracoli pensi a Del Neri, l’allenatore, o ai vari Luciano, Pellissier o Amauri. Difficilmente ti viene in mente Sartori. Lui è sempre rimasto dietro, mai in copertina. Architetto che muove le fila senza apparire. Non è a suo agio davanti alle telecamere. Dietro, invece, è attento con i giornalisti. Preferisce tenersi lontano da riflettori e palcoscenici, ma agisce: «Nei ventuno anni da dirigente del Chievo prendevo 10 giocatori in ogni sessione, più o meno avrò comprato 800 calciatori, forse qualcuno in più». Alcuni di questi rimarranno storici, Perrotta, preso per 3 miliardi dal Bari, ma anche Corini, Marazzina, Legrottaglie, Barzagli, Manfredini, Eriberto (poi Luciano), Frey e Pellissier. Alcuni scoperti, altri riscoperti.
Al Chievo porta tante novità e idee chiare. Anche dopo l’arrivo in Serie A si rimane coi piedi per terra, l’idea è salvarsi, poi si sogna. E il Chievo sogna: se il ricordo di tutti è al primo Chievo del 2000, quello tutto 4-4-2 e calciatori sconosciuti, è nel 2005 che arriva la grande occasione con i preliminari di Champions League contro i bulgari del Levski Sofia. Il Chievo perde ma la squadra esce tra gli applausi del Bentegodi. Sugli spalti c’era gente che vent’anni prima soffriva in interregionale e in Serie C e che ora si commuoveva nel sentire la musichetta della Champions. Sartori era lì in entrambi gli scenari.
La sua esperienza col Chievo continuerà tra alti e bassi fino al 2014, quando lascia all’improvviso. «In questi trent’anni, abbiamo vissuto giornate straordinarie e abbiamo superato giorni che sembravano impossibili», dichiara a L’Arena «ma alla lunga, queste cose ti restano dentro, ti segnano. E ti fanno pensare, com’è successo a me, di doverti fermare».
Senza WhatsApp e con i rapporti umani al potere
Sartori è un direttore sportivo attento, meticoloso, instancabile e molto dedito al lavoro. Ma soprattutto concentrato sui dettagli. È uno all’antica, molto fedele ai rapporti umani. Altra caratteristica: non ha WhatsApp. Per parlare con lui ci sono due strade: di persona o alzando il telefono. Quando ti mandano il suo numero quasi tutti pensano ci sia un errore o che sia il cellulare vecchio, giocatori compresi. Come puoi pensare che un direttore sportivo non abbia WhatsApp? Eppure lui è così. «Pensa in analogico», ha fatto sapere un frequentatore abituale del centro sportivo del Bologna, stupito dal suo metodo di lavoro.
Nel tempo, però, si è evoluto, dallo scouting alla ricerca dei giocatori. Oggi è il responsabile dell’area tecnica del Bologna, e insieme a un gruppo di lavoro ben strutturato scopre e valorizza calciatori in giro per il mondo. Del calcio conosce tutto, dalla Premier League alla Serie D. Anzi guarda ogni cosa, con particolare attenzione a quello che può essere funzionale a lui in quel momento. Come ha raccontato: Arsenal-Manchester City la guardano tutti e difficilmente ci saranno giocatori utili per il Bologna, mentre invece nel calcio minore si può scovare, bruciando anche la concorrenza.
Il suo lavoro va per fasi: il giocatore si guarda – anche con l’aiuto di Di Vaio – si studia attraverso dati, video e schede. Poi si va a verificare di persona. E se piace, si prende contatto col ragazzo e con la famiglia. È un mantra di quasi tutti i direttori sportivi italiani, l’idea che c’è qualcosa nell’occhio che i numeri non riescono a restituire fino in fondo, per quanto utili. Sartori è diventato direttore sportivo quando non esistevano i telefonini e non ha cambiato modus operandi. Per dare la misura del suo lavoro si può citare un dato: Sartori guarda live più di 200 partite all’anno e nella sua carriera ha chiuso più di mille trattative. Nel 2001 in un articolo su Repubblica viene raccontato come “uno capace di prendere un aereo in piena notte per andare a vedere una partita di D”.
Dietro di sé ha una struttura organizzata e con uno scheletro ben preciso. I suoi uomini “si muovono come quelli delle guide gastronomiche con giudizi incrociati, più schede, più pareri sullo stesso giocatore”. Poi tocca a lui e raramente sbaglia. Odia il “fantamercato”, non ti dà dritte, se lo guardi negli occhi e gli tiri fuori un nome capisci dallo sguardo se insistere con la notizia oppure no. Non è uno che urla, piuttosto dialoga e costruisce, ti viene incontro. Con un occhio attento al talento. Sono i colpi che parlano per lui.
L’Atalanta e i rapporti con Gasperini
L’Atalanta da questo punto di vista è la sua Gioconda: sue le intuizioni su Bastoni, Kessie, Cristante e Conti, solo per citarne alcuni. Più di 300 milioni di utili. A Bergamo affina la sua rete, allarga l’orizzonte, capisce che ci sono delle zone precise da cui estrarre l’oro. Campionati minori, ma estremamente funzionali. Come al solito gli hanno dato ragione i risultati negli anni. L’Eredivisie, la Pro League Belga, il campionato ucraino o quello russo. Terreni fertili in cui scovare pepite. Gli ultimi? Beukema, Karlsson e Zirzkee, i primi due dall’AZ, la punta invece dall’Anderlecht, dove era finito in prestito dal Bayern, con in mezzo un passaggio sfortunato al Parma. Sartori l’ha strappato ai tedeschi per 8 milioni e mezzo, oggi ne vale almeno dieci – se non quindici – in più. Ma d’altronde generare talento e plusvalenze è quello che gli riesce meglio da sempre.
Altro aspetto da segnalare: sa di chi fidarsi, anche se deve vedere per credere. Un esempio è De Roon. È il 2014 e Sartori, al tempo all’Atalanta, nota questo mediano che dà legna ed equilibrio. Viaggia 14 volte in sei mesi per vederlo prima di affondare il colpo. Giocava nell’Heerenveen, squadra in cui i talenti – Ziyech Djuricic, Finnbogasson – sono tanti. Ma niente, lui è rimasto impressionato da De Roon: lo vede prima davanti alla difesa, poi mezzala. Si inserisce, rifinisce, recupera palloni e non tira mai indietro la gamba. Inoltre ha uno sponsor speciale, l’allenatore, che non è proprio uno qualunque. Marco van Basten suggerisce al direttore di prenderlo e al giocatore consiglia l’Italia. Insomma, fa da collante tra le parti. Come detto, Sartori sa di chi fidarsi e con chi parlare. Con l’occhio umano che è da sempre il suo collaboratore migliore.
Di esempi simili ce ne sarebbero a bizzeffe. Da Malinovskyi, ucraino preso dal Genk, che è planato sulla Serie A con tiri da cartone animato a Hateboer, Castagne e Gosens, quinti di centrocampo che hanno contribuito a rendere grande l’Atalanta di Gasperini. Tutti presi dall’Olanda o dal Belgio, bruciando la concorrenza. E la lista sarebbe ancora lunga, impossibile citarli tutti. Le cessioni a peso d’oro non sono altro che l’ultima conferma del grande lavoro fatto, se mai ce ne fosse stato alcun bisogno.
Ovviamente il merito è da dividere con la società e l’allenatore Gasperini, che ha creato un sistema in cui questi giocatori hanno saputo esaltarsi. Una costante del Sartori direttore sportivo è stata il rapporto con gli allenatori. Non sempre ideale o simbiotico, c’è da dire. Al Chievo ne ha cambiati tanti e con alcuni (vedi Malesani e Del Neri) i rapporti sono stati ottimi, mentre con altri non è mai sbocciato l’amore. Inaspettatamente uno di quelli con cui i rapporti non sono mai stati ottimi è stato proprio Gasperini. Insieme hanno valorizzato, creato, e risollevato tantissimi calciatori e lo hanno fatto senza prendersi caratterialmente, talvolta discutendo e scontrarsi. Due persone diverse – una piuttosto scontante, un’altra schiva – che però morirebbero in difesa delle loro idee. Hanno raggiunto la Champions, altra prima volta di un club con Sartori direttore sportivo, hanno creato un modello virtuoso fatto di successi e plusvalenze, e poi si sono separati in silenzio. In realtà – lo precisa spesso – è Sartori ad essere andato via. Se al momento dell’addio molti hanno dato la colpa proprio ai rapporti ai minimi storici tra i due, Sartori è stato molto ecumenico a riguardo: «Su Gasperini dico solo una cosa: con caratteri diversi, abbiamo lavorato entrambi esclusivamente per il bene dell’Atalanta».
Oggi il Bologna
Quando era a Bergamo e collezionava qualificazioni in Europa e finali con un utile complessivo di 164,2 milioni di euro, il Bologna registrava un rosso da 112,9 milioni. Naturale che quando ha scelto di lasciare l’Atalanta in tanti abbiano messo gli occhi su di lui. Ha scelto il Bologna. Per continuare a operare alla sua maniera. Aziendalista che vuole carta bianca e pieni poteri.
Negli anni Sartori si è evoluto, ha continuato a studiare, guardare partite a ciclo continuo e ha imparato a usare Wyscout. Grazie all’aiuto di Di Vaio e di tutto lo staff anche a Bologna ci ha messo poco a far sentire la sua mano. Ha analisti di cui si fida, cura il dettaglio e ci tiene a non sbagliare. Ndoye, quest’estate, ha ricevuto più di 50 telefonate, finché non ha scelto di accettare. Sartori lo chiamava ogni giorno e ogni giorno toccava un argomento diverso. L’Italia, il gioco di Thiago Motta, Bologna e via discorrendo. Arte della retorica, oltre che intuito e tigna. Oggi il giocatore è felice così come Sartori, per il colpo messo a segno. Ovviamente sempre senza scomporsi, sia mai.
La figura del direttore sportivo in Italia è alla stregua di quella di un santone, a metà tra poteri magici e conoscenze dell’occulto. Sartori nella sua figura magra, riservata, sempre precisa sembrava allontanarsi da questa visione. Eppure qualche vibrazione la conserva: gli acquisti, le scoperte, le plusvalenze e i pochi errori. Non sono solo i risultati, però. Negli anni Sartori è sembrato il più attento nell’unire il calcio ai rapporti umani, due aspetti solo apparentemente non complementari. Si è costruito una rete affidabile, ha prestato attenzione ai calciatori ma anche alle persone dietro. Oggi ha portato questo suo metodo a Bologna e i risultati sembrano già visibili per la gioia dei tifosi.
By marcodalmen